#usagiorno0 Nei boschi danesi
Premetto di non avere alcuna certezza circa il filo, logico o illogico, che questo racconto-reportage ha intenzione di seguire. Potrei mostrare delle foto. E lo faccio (eccovi le foto) e qualcosa vi raccontano. Ma non sono sufficienti.
Sono già al giorno uno mentre scrivo. Disteso a piedi nudi su un materasso all’altezza del pavimento, dei piedi del tavolo, di una vecchia Yamaha di un modello che non conosco e altre cianfrusaglie. L’intera stanza profuma di legna ed é un bungalow monoposto, monolocale, monoletto…nelle campagne danesi. L’altro ieri sera al supermarket qui dietro, sulle rive di un lago, io e la ragazza danese che mi ospita abbiamo trovato un vino italiano e pugliese a poco. Sulle rive di quello stesso lago poche ore prima avevo assistito ad una scena che mi aveva spinto a domandarmi in quanti modi creativi si può sfruttare la desolazione di un bosco, di una radura abitata da insetti o di una campagna apparentemente dimenticata dagli dei. La risposta non si é fatta attendere: mentre leggevo seduto su un sasso A room for one’s own di Virginia Woolf arriva un auto e scendono in tre. Un ragazzo e due ragazze. La ragazza meno svestita é una fotografa. L’altra, piú svestita, farà da modella. Un tipo particolare di modella. Un’attrice BDSM le cui chiarissime cosce sono a diretto contatto con le foglie, il vento e le formiche. Il ragazzo dei tre comincia a schiaffeggiarle il culetto e lei a ridere di gusto mentre la terza fotografa. Indossa un collare. Tirano fuori da una misteriosa valigia di pelle nera altri strumenti di tortura erotica. Mi godo la scena. Si muovono professionalmente e con nonchalance. Ignari dei miei sguardi e delle anatre che fanno splash con l’acqua inseguendosi come bambine sotto un tramonto che tarda ad arrivare e un temporale che sembra invece avere fretta di fare i dispetti al sole. Vado via prima che questo accada. Una presenza femminile dai dred biondi passeggia poco piú in là. Mi sorride. È il primo sorriso ricevuto dall’avventura.
Next to the flat, on the way of return, I found out that the path was full of snails so huge that one would feel more guilty to tread them. I have been really careful to not do it. And I wondered, as it was starting to rain, how comes they survived to the evolution process although their extreme vulnerability. Humans usually believe they must show their ”muscular” strengthen in order to survive in the struggle, both of nature and society. (And I don’t mean only the muscles’ strength: the anxious of progress itself can be also a form of ”muscular strengthen”). But snails do not care about this stuff. They are just what they are, extremely slow and incredibly vulnerable, and they are still there. Who won? Humans or them?
La prima giornata era terminata mandando giú con due coetanei danesi il vino di Puglia di prima. È inutile ripetere che alla mente parlare di tutto con persone di altri Paesi fa bene quasi quanto una dose moderata di vino: lo definirei un esercizio di uguaglianza e differenza al tempo stesso. Credo che il contatto con loro sia il modo migliore per sviluppare quelle skill che solo l’università del viaggiatore, la scuola della vita e della ferrovia, e non gli Atenei, per ora possono darti. Assumere la prospettiva altrui, comprensione, compassione. Che sono le ragioni per le quali chi non ha mai viaggiato o chi ha viaggiato solo col corpo, senza mai osservare, o adottando lo sguardo dello spettatore di un circo, é spesso arido.
La seconda giornata é terminata con un altro pensiero: se Bologna fosse in nord Europa sarebbe Copenhagen. Ho passato il tardo pomeriggio a ballare in strada sotto uno dei dieci palchi allestiti vicino Norreport in occasione di un festival. Si respirava un vibe da Cavaticcio. Per chi non sa di cosa sto parlando non deve far altro che cercare il prossimo street party di Copenaghen e raggiungerlo con un volo Ryanair, sperando che la birra sia ancora fredda.
Ora sto per partire per il dramma americano. Mi sento come se stessi andando in un Paese in guerra, nel bene e nel male.
In a few hours I’ll be face to face with the American drama (the so-called ”American dream”’s counterpart). I will try to go on with my reportage from there, the other side of the planet, many time zones away.