#usagiorno 5-6 New York: grandi pietre su vecchie cose part1
Due frammenti di Copenaghen sono sfuggiti alla narrazione di qualche giorno fa. Sarà perché a volte colpevolmente ritengo certi luoghi piú degni di essere raccontati rispetto alle persone che li attraversano. Quando succede significa che per un attimo mi sono dimenticato che quei luoghi di cemento sono in primis passaggi di esseri umani. Prima che essere città di pietre, sono città di uomini. Questi possono essere Pierre, francese che mi concede qualche memoria del suo viaggio via terra dall’Australia all’Europa passando per il sud Asia e per l’aridità gelida e strepitosa della Transiberiana. O può essere una ragazza dal passaporto americano che vive e studia a Malmo. Conosciuta su Tinder, incontrata a Copenaghen, é stata l’ultima americana che ho visto prima di partire per l’America e mi ha ricordato col suo impeto rivoluzionario e il suo impegno per i migranti che l’America non é solo hamburger e camion dai musi cattivi. Con lei, peraltro, una deliziosa coincidenza si é verificata: i suoi, rimasti negli USA, si sono da poco trasferiti a Portland, Mayne. Tra tutti gli Stati e tutte le città della immensa America proprio la stessa dove la mia amica Eden mi avrebbe ospitato.
Mentre scrivo sono in una sala d’attesa di Boston. Alle 3 del mattino. Prima di proseguire il racconto e dirvi cosa é accaduto a New York ritengo importante ricostruire la cornice attraverso queste digressioni non lineari. Immagino una penna che non esiste che registri i miei pensieri veloci e sostituisca la mano troppo pigra per farlo. La mano che preferisce essere impegnata a far nulla. Stretta tra i sedili della sala d’attesa. Cerco di appisolarmi. Un clochard bianco poco lontano russa e grida all’assalitore del suo incubo: get out of here. Non ho avuto modo di leggere molto nel corso di questa esperienza. Mi consolo pensando che l’intellettuale contemporaneo si spezza la schiena, non solo la reputazione e il cervello. Il vero intellettuale contemporaneo quando non ha una ospitante o un ospitante dorme sul pavimento, se dorme in hotel vuol dire che in qualche modo si é già venduto. Sente il dolore o piú semplicemente la scomodità corporale dell’essere materia. Ovviamente non é di me che sto parlando, ma del vero intellettuale contemporaneo. Quello delle soft skill.
New York é una skyline non riducibile ai fast food. Un altro tipo di America invece sembra esserlo, se non del tutto, quasi completamente. Dove c’erano i precolombiani gli europei hanno costruito questi grandi muri di pietra su cose antichissime che nemmeno potevano immaginarlo. Nel crocevia per eccellenza di odori, colori della pelle, suoni e culture mi ritrovo alla Poets House in un pomeriggio alle 19. E poi su un battello per la parte Sud della metropoli. E poi…il finale é già scritto, ma vi deve ancora essere raccontato.