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Ci siamo appassionati agli ultimi per strada
a coloro che gli davano voce,
Pasolini Pier Paolo, Lorca Garcia Federico.
Che non lasciavano nelle polveri sottili
marcire le violenze degli ultimi dimenticati.

Quando abbiamo cominciato ad assomigliargli
abbiamo smesso di credere
che fosse possibile prenderci cura di noi stessi,
senza un Dio,
senza uno Stato,
un Partito vero o uno stipendio dove va l’uomo o la donna o il transgender moderno?

Privato della capacità di riconoscere gli squarci,
di distinguere uno schiaffo da una carezza,
un urlo di dolore da un orgasmo,
di dormire all’aperto per imparare a nominare la notte e i suoi corridoi di pianti
e eserciti di lupi furiosi,

di curarsi i ginocchi sbucciati,
di rialzarsi dopo essere caduto in una buca,
le lamiere, la penna, la spada e la fetta di letto che aizza i pensieri,
la fetta di torta che li vizia.

L’odio come frutto acerbo
e la stanchezza come conseguenza logica spalano via con forza meccanica
ogni alito di calore dal melodramma
ogni traccia di espressione poetica dalla tragedia,
ogni artificio raffinato dai discorsi,
ogni briciola di stelle dai manici delle chitarre scordate.

Ogni memoria di quel giorno in cui la notte fu passata altrove,
all’ombra di palme sotto cui case variopinte
furono visti scintillare i colori di tutte le ferite che ci eravamo procurati,
di tutti i giorni in cui era stata illusa dalle agenzie turistiche
che una serenità costante in un cielo sempre uguale le avrebbe riequilibrato l’umore.

Tutte le notti passate ad ignorare le corde delle emozioni così come quelle più tangibili degli strumenti
e i colori variopinti delle ferite che continuavano a scorrere a confondere la monotonia ottusa di un mediterraneo furioso e piatto come il suo corpo sbirciato dalla luna.

Nessuna terapia li avrebbe fermati,
non un cambio di idioma
non una nuova rotta nell’imperdonabile ingenuità di poter essere radicalmente altro altrove.

Granada, 20/07/2018.

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