Incubo numero zero

Da un calcolatore universale con sede nottetempo nei cervelli di tutti
ammassati in una valle di Silicone
sono stato condannato a scegliere in quale incubo vivere.

Incubo numero uno: un sole che non accarezza mai,
andirivieni di ombre scure i cui gesti fanaticamente mondani suggeriscono
abissi negli occhi,
sguardi che non sono vuoti,
ma piuttosto semplicemente assenti,
e se anche fossero presenti non sarebbero umani.

Incubo numero due: la nuova normalità non si è ancora affermata,
ma ci ha promesso di essere peggiore delle precedenti.
Come farò, disarmato, ad affrontare città irriconoscibili?
Città dell’incubo numero due,
private di fiumi, storie e baci, città diventate invisibili,
tramutate in quelle dell’incubo uno: gusci assimilati alla mondanità minimalista e iper-pragmatista dell’incubo numero uno.

(Un sogno al cubo può diventare un incubo).

Da una realtà calcolatrice sono state condannato a scegliere in quale di questi due incubi vivere.
Che scelga il primo o che scelga il secondo,
il ruggito della natura non mi darà scampo,
come raggiunge tutti, raggiungerà anche me,
in una terra di mezzo dove l’ospedale psichiatrico in cui sarò rinchiuso nel 2050 sarà travolto da un meteorite o un’inondazione e sarò salvato per un pelo da un mio pronipote che avrà viaggiato
in visita da un futuro in cui ci sarà
sete di saggezza, lingue, conoscenze, storie e filosofie
e allora sarò tra i pochi a ricordare a memoria
questa
e altre poesie.

Matteo Iammarrone.

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