#iammaforeurope Giorno 3
Mi sono svegliato tardi. Come la ragazza che mi ospita, la quale doveva andare a Monaco a pranzare con la nonna…in un ristorante indefinito dal menu indefinibile. Lei é andata ed io ho preso il treno per Berlino. 6 ore e mezzo e un nome che faceva pantan con le temperature (12 gradi a giugno, un gelo per me): Ice. Una sorta di freccia bianca con un bagno però da 20 metri quadrati, di legno levigato, sistemi automatizzati e curato nei minimi dettagli. Le fermate leggibili nei display sulla destra di ogni sedile (niente torcicolli e inutili ricerche dei cartelli in stazione). Puntualità germanica.
Conosco un simpaticissimo ragazzo austriaco che comincia a parlarmi vedendo che anch’io, come lui, ho un Interrail. Discutiamo di musica, viaggi, differenze Austria Germania e poliamore. Un intenso viaggio di fitte conversazioni anglofone. Ci raccontiamo anche qualcosa delle nostre lingue, delle nostre grammatiche, dei nostri modi di dire, e ridiamo. Io gli faccio leggere una poesia in inglese.
Giungiamo a Berlino. Una stazione surreale: intreccio di ponti e scale mobili, parti sotterranee e parti scoperte, sembra un complesso di grattacieli piuttosto che una stazione. Mi presenta gli amici che aspettava e ci congediamo: io proseguo per la zona di Potsdamer Platz. E giù lungo Via Karl Marx, con un bus che annuncia ogni fermata e freme di punkettoni dai capelli arcobaleno. All’inizio di una linda traversa dopo dieci minuti di attesa si presenta il ragazzo che mi ospiterà: è vestito da freak ed é scalzo per la città (uno scalzista). Senza troppi convenevoli mi conduce alla sua gattabuia: libri, birre, tavoli in legno, spillette antispeciste e antifasciste e un letto a baldacchina. Mi dice dove devo dormire e mi lascia le chiavi. Vago per il quartiere ma sono stanco. Tanti negozi turchi e indiani. Mangio una roba calda e strana, una specie di piadina agli spinaci. Mi assicurano che é vegana. Sono su Via Karl Marx e sono giá stanco. Esploro un parco che sembra un bosco per quanto é vero e per gli alberi fitti e le irregolaritá del terreno, e i sentieri. Solo qualche recinto e un parco giochi appositamente delimitato mi fanno ricordare di essere in cittá.
Vado a casa, apro. Un uomo entra in casa e mi dice se c’é un pacco per lui. Non capisco. Poi capisco. Vedo un pacco: dice che é quello perché c’é il suo nome. La bellezza di questa casa é la doccia in cucina, le tende con il disegno di uno scorpione e il bagno fuori della casa…senza lavandino.
BUONANOTTE.