#iammaforeurope Giorno 10 (il ritorno)
Ritorno. Come suona male. Tornare di nuovo. Come back. Tornare indietro. No io indietro non ci voglio tornare, voglio proiettarmi in avanti. Riavanzare semmai. Non ritornare. I don’t want to come back in Italy. All I need is stay here. Ma le vicissitudini del quotidiano sono piú forti, sono violente (e del resto come potrebbe essere diversamente? Forse potrebbe, ma sarebbe un discorso biblico e complicato).
Comunque mi sveglio presto inondato da un gran sole con le montagne che mi sprofondano negli occhi e mi fanno ciao, anzi guten tag. Dopo aver avuto freddo sul divano letto immerso tra violini e altri strumentini, cerco del caldo té. La ragazza che mi ospita é una graziosa e sorridente bionda di Amburgo e la sera prima ha impastato e preparato per me e le due ragazze canadesi del pane home-made. La riscopro gaia e mattutina mentre in cucina é intenta a cuocere in forno l’impasto preparato la sera precedente. Mi prepara una tisana con la menta del suo giardino (una valida alternativa al thé per la sua funzione ristoratrice). Le canadesi si svegliano. Prepariamo una gran bella colazione a base di pane, marmellate, confetture e preparati a base di fiori x del suo giardino. Devo partire. Ci salutiamo. C’é sicuramente affetto tra noi, ma non sappiamo bene come salutarci. Lei mi si avvicina per un amichevole bacio sulla guancia ed io tento di darle anche quello sull’altra guancia. Ma lei me lo impedisce (wtf) e alla fine ci siamo lasciati cosí. Con un bacio e mezzo dal significato sospeso tra una barriera culturale ed un impedimento temporale dovuta al fatto che dovevo scappare.
Mi avventuro in autostop lungo il confine austriaco e attraverso tutto il grazioso paesino in cui siamo, Mittenwald, si chiama, 100 km da Monaco, 35 da Innsbruck. C’é una chiesa gotica e tante decorazion floreali, ma non c’è nessuno disposto a caricarmi. Verso Innsbruck tutta gente per bene, con auto di lusso e facce schifosamente schifate. (Da considerare che quelle auto provenivano dalla direzione di Monaco e Monaco é carina ma é piena di gente cosí). Continuo a percorrere diversi chilometri lungo questa specie di autostrada aperta, tra ruscelletti cristallini, fiori e Alpi, in direzione Innsbruck. Vado in Austria letteralmente a piedi. Raggiungo una specie di stalla e chiedo informazioni, ma non sanno l’inglese. Proseguo fino a una stazione di servizio dove finalmente mi carica un ragazzo tedesco sul suo furgoncino, e mi racconta delle sue esperienze di autostoppista in Nuova Zelanda, dove dice essere molto comune come pratica (e se é molto comune é anche socialmente accettata). In Europa lo é meno, forse perché si corre, forse perché si ha paura o semplicemente perché é caduto ormai in disuso nella testa di molti come modo di viaggiare.
Mi porta fino a Innsbruck dove in una stazione di servizio tento di continuare in direzione in Italia. Ma niente. Qui la strada non é adatta e nessuno mi prende. Dopo due ore e tante ridicole scuse degli autisti e le cattive maniere dell’unico italiano trovato, decido di raggiungere la stazione ferroviaria. Prendo un regionale per Brennero. E da Brennero un altro per Bologna (29 fottuti euro e 5 ore e mezza) per 350 km. Ho fame perché nella stazione di Brennero non c’era nulla da mangiare. Arriverò alle 22 e 25 e, fortunatamente, ho degli amici che mi aspettano.
L’Italia mi si dispiega man mano che scendo: Vipiteno, Bolzano, Trento, Rovereto.
Nessuno dovrebbe poter fare a meno di viaggiare. Tutti dovrebbero ammalarsi del vizio tutto umano dell’avventura.