Carlotta
C’è una lei in una camera al piano terra
del mio cuore capiente, sotto le coperte,
spaventata.
Dietro le croste di pittura della parete
della stanza è nascosta una scritta:
“C’è aria desiderante di liberazione in questa città.
La liberazione è qui che riposa”.
Qualsiasi sciocca celebrazione di Carlotta
sarebbe un gioco da bambini,
un’illusione dell’infanzia per noi che non siamo giocattoli,
non siamo illusioni né bambini.
E così mi limito a pensarla come un paio di guance rosse
in un cortile d’Ottobre innevato da studenti ingenui
come formiche in una teca.
Guance che emergono come rose dalla coltre dello smog,
a chi appartengono se non ad un soffice nome che più tardi scoprirò?
A lei che fa domande che scivolano attraverso l’imperioso respiro
mentre nello stomaco ribollono farfalle alcolizzate di spritz.
Incontrarla è stato un piccolo Ottobre!
Ma non intendo celebrarla come un anniversario che passa e viene una volta sola,
voglio gettarmi al suo fianco e servirci di energia pulita per accrescerci,
nutrirci delle instabilità,
ancorarmi nei suoi oceani di dolcezza,
io e lei assimilarci come si assimila il frutto di un giardino incantato
dopo averlo mangiato,
festeggiarla come una Liberazione,
a porta Lame,
di questa città,
assieme ansiosa e distesa,
spirituale e terrena, come una sposa
che sta per dire “no”.
Chi l’avrebbe mai immaginato che ora manca come quel sessantotto che non vedrò?
Chi l’avrebbe mai pensato che sarebbe esploso in una scuola
Il nostro piccolo Ottobre?