#usagiorno0102
La lavanderia a gettoni sotto casa nell’appartamento della mia amica queer di Portland é gestita da un abruzzese. Mr. Arcangelo (Archengielo, come si presenta lui) si é trasferito nella ridente cittadina atlantica negli anni sessanta. Ma non mi faccio raccontare la storia. Mi accontento di immaginarla simile a mille altre analoghe, nella Trumpamerica che oggi vorrebbe diventare quello che in realtà non é mai stata, una roccaforte dalle frontiere sbarrate ed etnicamente omogenea. Ma certo raggiungere questo posto nel Mayne, non lontano dal Canada, non é stato semplicissimo: dopo 8 ore di volo, all’aeroporto di Boston i controlli eccessivi e incrociati mi hanno fatto perdere un bus. L’accoglienza non é certo quella pacata e gentile dei Paesi scandinavi: la polizia guarda e analizza tutti con sospetto, fa domande, é sbruffona. Come se davvero qualcuno volesse rimanerci troppo a lungo in questa galera a cielo aperto. Inoltre ogni luogo pubblico abbonda di divieti e obblighi da far rispettare rigorosamente.
Ho scelto di visitare finalmente questo Paese a dispetto dell’odio profondo che nutro nei confronti dei suoi governanti passati e presenti, perché volevo che la mia immagine di America fosse piú mia, piú personale e attivamente costruita sul campo, e meno dovuta a racconti degli altri o a pregiudizi storici e ideologici. Spero che lo spirito di fotografo di guerra con cui lo faccio non distorca troppo le mie lenti sulla realtà e mi consenta di apprezzare anche i suoi, pochi sembra, lati positivi. Sorprendimi positivamente, America, aspetto che tu lo faccia.
Per ora la bella sorpresa é stato trovare un libro intitolato Designer relationship sul comodino della mia amica e farmi raccontare quanto lei e tanta gente che conosce senta la necessità del superamento del binarismo di genere, della monogamia obbligatoria, dell’eteronormatività cosí come avverta l’urgenza di una riscrittura della storia americana partendo da istanze di classe, dei neri, delle persone lgbt e la comprensione della correlazione di questi tre fattori.
Gli Usa soffrono tremendamente. Sono un Paese in cui non sono garantiti i servizi essenziali e all’Università vanno solo i figli dei ricchi. Tutti i miei amici americani tentano di emigrare in Europa, magari in Danimarca o Svezia, per lavorare o studiare alla ricerca di un futuro un po’ meno capitalista mi verrebbe da dire.