Centocinquanta milioni di anni

Sembravano pagine di carta velina, spesse e colorate, sembrava una cineseria, ma era un prezioso diario da collezionista di oggetti chic quello che gli aveva messo tra le mani Michelle, uno sfizioso regalo dalla più bella libreria parigina, pubblicamente godibile a due passi da Notre Dame. Il biglietto ferroviario stropicciato che fuoriusciva dalla tasca sul retro dei pantaloni, e si bagnava assieme a quelle quattro banconote da dieci che sarebbero servite per avere un posto in cui sbattersi senza ammalarsi né farsi arrestare. Quei pantaloni non jeans, mai jeans, perché avevano superato ormai tutti i residui degli anni ottanta che non avevamo visto mai. I manoscritti di Michelle, i manoscritti dall’America svuotavano la loro poesia in una pozzanghera europea, le cadevano inavvertitamente nel fiume putrido di un marciapiede anonimo, si annacquavano per gioco sotto la pioggia battente durante quella che sembrava una corsa senza perché in un ostello rintracciato lì per lì sul web, dietro un’insegna col portiere che è italiano ma non sembra, nel quartiere Lingotto con la Mole che non è mai stata troppo bella. Andare a fottersi, nella nebbia. In una stanza coi fiori finti, artificiali.

– ”Aspetta, non spogliarti. Li faccio prima diventare veri”

– ”Non importa..”

Fossero mortali, non li capirebbero comunque. Hanno centocinquanta milioni di anni i fiori. Sono troppo vecchi. In due non arrivano a cinquanta. Sono troppo giovani. ”Ci rivedremo il giorno prima della Rivoluzione. Anche se il tuo sarà l’ultimo Paese ma almeno quel giorno…saremo abbastanza maturi per essere loro”.

M.Iammarrone

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